A volte basta poco per rassicurare qualcuno, sembra banale, a tratti anche sciocco, e forse lo è , ma per un individuo che viene colpito da un momento di insicurezza, una parola, un sorriso, o anche un semplice amorevole sguardo può cambiare quell’improvviso attimo.
In quel piccolo frammento momentaneo di incertezza, i pensieri volano, le domande si accumulano una sopra l’altra, ed il timore di chiedere, domandare, prende il sopravvento su ogni tipo di azione si voglia fare.
Si dà per scontato che i genitori ci siano, sempre presenti, sempre lì pronti ad aspettarci, ad accoglierci, sorreggerci, confortarci e comprenderci.
Arriva però un momento dove tutto quello che avevamo dato per certo, sicuro, quasi immortale, ci venga improvvisamente tolto, quasi estirpato, strappato.
Si deve poi fare i conti con l’assenza, ci vuole tempo per accettare, in verità non si accetta mai, s’impara solo a convivere con l’assenza.
Ma più dura dell’assenza per una perdita, è l’assenza con la presenza, esserci ma in realtà non esserci.
“O tu sei mia e tutto va bene, o invece ti perdo e allora non c’è niente, niente di niente”
Questo era l’ amore che Kafka provava per la sua Milena.
Lettere a Milena, le lettere che Kafka spedisce puntualmente alla sua Milena, non sono altro che la testimonianza, il racconto di un amore che era pronto per nascere, crescere e risplendere, una vera esplosione di cuori, di sentimenti.
Un amore fatto di parole, un amore fatto d’inchiostro su fogli bianchi, un’amore non toccato, nemmeno sfiorato nonostante i loro incontri, ma che comunque creava una perfetta fusione di anime.
Parole dure, parole appena sussurrate, parole d’amore che descrivevano speranza, e che al tempo stesso cercavano di nascondere quel velo di tristezza che solo chi ama realmente puo comprendere.